E pluribus unum
Il ritiro ideologico degli Stati Uniti e l'utopia ragionevole degli Stati Uniti d'Europa.
Foreign Affairs - una newsletter di notizie da tutto il mondo
a cura di Luca Salvemini
N. 111 - 27 aprile 2025
Venerdì una giudice di Milwaukee, nel Wisconsin, è stata arrestata con l’accusa di aver intralciato l’applicazione delle leggi sull’immigrazione: avrebbe aiutato un uomo, senza permesso di soggiorno, a sfuggire all’arresto degli agenti dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE), l’agenzia federale che si occupa di far rispettare le leggi sull’immigrazione. Il 18 aprile la giudice Hannah Dugan si sarebbe rifiutata di consegnare l’uomo, che si trovava nella sua aula di tribunale, agli agenti e gli avrebbe permesso di uscire attraverso la porta riservata ai giurati.
Non è insolito che agenti della polizia federale cerchino di arrestare delle persone immigrate senza permesso di soggiorno convocate nei tribunali statali per questioni legali anche di poco conto.
Spesso i giudici dei tribunali statali si sono lamentati di questi arresti perché sostengono che l’attività dei tribunali sia danneggiata se questi vengono considerati luoghi poco sicuri: le persone senza documenti regolari potrebbero smettere di presentarsi quando viene loro richiesto.

Ora lasciamo le corti federali americani e spostiamoci negli aeroporti.
A marzo le persone entrate negli Stati Uniti con un visto turistico sono diminuite di quasi il 12 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ed è probabile che questa tendenza continui anche nei prossimi mesi. È il primo calo rilevante dalla fine della pandemia di Covid-19, quando quasi tutti i viaggi erano stati sospesi, e potrebbe portare a perdite economiche rilevanti.
Nelle ultime settimane ci sono stati casi di turisti arrestati mentre provavano a entrare regolarmente negli Stati Uniti e diversi paesi hanno invitato i loro cittadini ad avere maggiori prudenze del solito se diretti verso gli Stati Uniti. In generale le politiche aggressive e minacciose di Trump stanno avendo un impatto negativo sul turismo, e stanno promuovendo l’idea che gli Stati Uniti non siano più un paese necessariamente accogliente e “sicuro” per viaggiare.
Solo negli ultimi mesi diversi cittadini, anche europei, sono stati arrestati mentre cercavano di entrare regolarmente negli Stati Uniti. Le storie più emblematiche sono quelle di:
Lucas Sielaff, tedesco, lo scorso febbraio si trovava a Las Vegas, dove vive la sua fidanzata e dove era arrivato con un ESTA (un’autorizzazione che permette ai cittadini di 43 paesi, tra cui molti europei (compresi Germania e Italia), di entrare negli Stati Uniti e rimanerci per un massimo di 90 giorni, senza bisogno di un visto).
I due erano andati in Messico per qualche giorno in auto, ma quando avevano provato a riattraversare il confine per tornare negli Stati Uniti erano stati fermati dagli agenti di frontiera. Sielaff è stato arrestato, perquisito e poi portato in un centro di detenzione a San Diego, in California. Dopo circa tre settimane gli agenti gli hanno permesso di andarsene comprando autonomamente un biglietto aereo per la Germania, che ha pagato più di 2.400 euro. La sua fidanzata, Lennon Tyler, ha detto che intende fare causa al governo statunitense.
Jessica Brösche, tedesca anche lei, fermata sul confine con il Messico lo scorso 25 gennaio; dopo aver passato 45 giorni in una cella di isolamento, era poi tornata in Germania l’11 marzo.
Fabian Schmidt, in possesso della green card, un permesso di soggiorno permanente, vive negli Stati Uniti dal 2007: a marzo era stato arrestato all’aeroporto di Boston e portato in un carcere del Rhode Island.
Poi c’è una donna britannica che dagli Stati Uniti stava andando in Canada. E’ stata fermata, ammanettata e ha passato 19 giorni in un centro detentivo. E le storie potrebbero continuare ancora.
Tourism Economics, una società specializzata nelle analisi di mercato per il settore del turismo, ha stimato che nel 2025 i turisti stranieri spenderanno 9 miliardi di dollari in meno negli Stati Uniti rispetto al 2024. Secondo Goldman Sachs, la riduzione del turismo potrebbe causare perdite fino a 90 miliardi di dollari per gli operatori statunitensi del settore.
Ricapitolando. Una giudice che prima blocca l’arresto di un immigrato irregolare, facendolo uscire dal “retro” e poi viene arrestata lei stessa dalle forze dell’ordine americane. Il calo dei turisti e gli episodi sconcertanti che riguardano ormai numerosi viaggiatori in entrata e in uscita dagli States, con non infrequenti permanenze ingiustificate in carceri o centri di detenzione.
Cosa ci dice tutto questo?
Nella stessa settimana in cui è venuta a mancare la guida spirituale per milioni di fedeli cristiani, a cento giorni dall’insediamento, l’amministrazione Trump, soprattutto tramite gli episodi prima citati, comunica il venir meno di un’altra guida globale, questa volta economica, culturale, politica: gli Stati Uniti d’America.
Identifico in almeno tre momenti rivelatori questa svolta isolazionista americana.
Il cambio ideologico con il discorso pubblico di J.D. Vance a Monaco. Invettive precise sulle contraddizioni e sulla “ipocrisia” dell’Unione Europea (tesi confermate poi anche privatamente).
Il violento incontro Trump - Zelens'kyj nello Studio Ovale, la strisciante sottolineatura che la guerra in Ucraina non è una guerra strategica per gli Stati Uniti, a differenza dell’Europa e degli Stati europei (da quì la richiesta-ricatto di aumentare il budget dedicato alle spese militari almeno al 2%, se non oltre).
Infine il Liberation Day, l’annuncio di una vera e propria guerra commerciale nei confronti di tutti gli stati approfittatori che in questi decenni hanno saccheggiato le ricchezze americane. Nel mirino c’è sicuramente la Cina - che questa volta non sta rispondendo al telefono - e proprio l’Unione Europea e i prodotti da questa esportati in US. Qualcuno l’ha chiamato “il giorno in cui è finita la globalizzazione”.
Se unite a queste immagini, gli arresti arbitrari e le deportazioni in El Salvador - con le evidenti torsioni dei principi fondativi dello stato di diritto americano, a partire dallo svolgimento di un banale giusto processo -, l’arresto dei giudici federali e dei turisti che arrivano negli States, il quadro risulta chiaro: gli Stati Uniti stanno comunicando al mondo le dimissioni dal loro ruolo di guida globale.
Stanchi di esserlo, provati dai costi (soprattutto umani) richiesti per assolvere tale compito, hanno votato in massa per l’alfiere maggiormente capace ad annunciare la loro ritirata, prima di tutto ideologica, dalla leadership globale (per quella economica c’è tempo e modo per ri-pensarci. Scott Bessent docet).
Gli imperi, così come le egemonie, quindi, non sono eterni. Quando, e se, si concluderà quella degli Stati Uniti, noi europei dobbiamo sperare che non arrivi, come in tanti pronosticano, il turno dell’egemonia cinese, così distante dall’ideale liberale occidentale.
Ma allo stesso tempo, lo dico da europeista convinto, bisogna sperare che l’unione dell’Europa sia molto più solida di quanto lo sia adesso. Trovarsi in una posizione secondaria o subordinata in questo nuovo mondo senza una egemonia chiara diventerà ben presto la minaccia più seria di sempre al modo di vita privilegiato di cui godiamo da decenni e che molti sembrano dare ormai follemente per scontato.
Come ha detto lo scrittore spagnolo Javier Cercas in un prezioso discorso del 2018 al Salone del Libro di Torino, oggi in molti non saprebbero come definire l’Europa: “Se mi vedessi costretto a rispondere con una sola frase a questa domanda, probabilmente la cosa più onesta sarebbe riprendere ciò che dice Sant’Agostino, nelle sue Confessioni, all’inizio di una sensazionale riflessione sulla natura del tempo: «Se nessuno mi domanda cos’è l’Europa, lo so; però, se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so”.
Oggi l’Europa appare sempre più come “un’unione sgranata e improbabile di paesi con tanto passato e scarso futuro, e, nel migliore dei casi, con un ente sovranazionale, freddo, astratto e distante la cui capitale si trova in un posto freddo, astratto e distante chiamato Bruxelles, che non si sa con certezza a cosa serva tranne che a dare lavoro a mucchi di grigi burocrati e a far sì che i politici populisti dell’intero continente gli diano la colpa di tutto ciò che di male accade nei loro rispettivi paesi”.
Citando sempre il discorso di Cercas, oggi l’Europa ha di fronte a sé una sfida esistenziale, ovvero quella di conciliare la sua “biodiversità” culturale all’unità politica.
Senza la ricchezza della diversità culturale, l’Europa s’impoverirebbe enormemente. La varietà di lingue, di culture, di tradizioni locali e di autonomie sociali sono risorse da proteggere e custodire. Legandole, tuttavia, ad una parallela cultura europea comune, creando un sistema intellettuale comune e una comunità di interessi che necessita, allo stesso tempo, di un’unità politica senza la quale l’Europa sarebbe condannata alla distruzione, preda di odii etnici e nazionalismi che hanno già nel passato innescato le guerre mondiali.
In pochi, oggi, possono ritenersi soddisfatti del funzionamento dell’Unione Europea: come spiega in un’ottima newsletter Yascha Mounk vi sono paesi europei con un enorme deficit democratico delle sue istituzioni; "siamo privi di una politica economica e fiscale comune, non abbiamo una politica interna ed estera comune, né una politica di difesa comune, né ovviamente una politica culturale comune: non abbiamo giornali o riviste o radio o televisioni comuni – con la qual cosa siamo privi di un’opinione pubblica comune –, non abbiamo case editrici europee, e neanche un dibattito di portata europea, non sono nemmeno sicuro che abbiamo molti scrittori davvero europei”.
Sappiamo che l’Europa è stata per secoli il centro del mondo, ma sappiamo anche che non lo è più. Si legge e si ascolta sempre più frequentemente che quasi l’unica cosa che resta da fare a noi europei sia mettersi sotto l’ala delle grandi potenze emergenti e “languire come nobili in disgrazia tra le rovine del nostro passato splendore” per parafrasare il poeta spagnolo Jaime Gil de Biedma.
Eppure la capacità per tornare ad essere egemoni ce l’avremmo eccome. Siamo la terza economia del mondo, usiamo la seconda moneta mondiale, abbiamo il primo mercato del mondo e la prima tradizione culturale del mondo.
Abbiamo molto più potere di quanto crediamo.
Dice ancora Cercas, “quello che ci manca è la fiducia in noi stessi, l’ambizione, il senso storico, la volontà di fare l’enorme sforzo di cambiare il paradigma del nazionalismo con quello del federalismo, la convinzione di poterci unire nella diversità”.
Gli Stati Uniti hanno costruito una sola nazione partendo da persone provenienti da molte nazioni – e ci sono riusciti. L’Europa, ognuno di noi, oggi, dovrebbe costruire un unico stato a partire da molte nazioni, che non vanno eliminate, ma integrate.
«E pluribus unam»: un’Europa politicamente unita e culturalmente plurale.
Chiudo la newsletter di oggi con le parole di uno scrittore italiano, Alberto Savinio, pubblicate il 27 dicembre 1944, poco prima della fine della guerra in Italia e nel resto dell’Europa.
Parlano dell’utopia ragionevole dell’Europa. Sono parole bellissime, in alcuni passaggi anche profetiche.
Sono parole su cui meditare.
«Sono sempre più profondamente convinto che i popoli dell’Europa non guariranno dalle loro gravissime ferite se non formeranno una sola nazione unita da comuni pensieri, da comuni interessi, da un comune destino (…).
L’Europa, in fondo e magari a sua insaputa, vuole formarsi e presto o tardi si formerà. Chissà? Tale è la follia degli uomini e tale la loro stupidità – tale è soprattutto la loro insistenza a non risolversi a quello che il destino prescrive se non incalzati (…) – che forse ci vorrà una terza guerra anche più disastrosa delle due che l’avranno preceduta per chiarire nel cervello degli europei la necessità dell’unione; nel qual caso non più gli europei vivi si uniranno, ma le ombre degli europei, come Omero chiama i fantasma di coloro che hanno vissuto. Ma forse no (…).
Nessun Uomo, nessuna Potenza, nessuna Forza potranno unire gli europei e fare l’Europa. Solo una idea li potrà unire. Solo una idea potrà fare l’Europa. Idea: questa cosa umana per eccellenza.
E questa idea è l’idea della comunità sociale (…).
E questa unione “naturale” dell’Europa avverrà. Avverrà prima o poi. Avverrà presto o tardi. Avverrà nonostante tutto. Avverrà a dispetto di tutto (…).